CINQUE

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Il Mago come si chiama lo sa solo lui. O forse anche Alfredo. È il Mago perché è un tipo strano, che se ne sta nel retrobottega a organizzare sortilegi contro la gente, e la notte parla con le ombre. Tiene però aperto l'emporio e lì dentro c'è tutto quello che un bambino normale ha necessità di possedere al giorno d'oggi per vivere felice. Primo fra tutto le figurine dei calciatori. Per i maschi s'intende. Per le femmine quelle degli animali e dei cartoni animati. Percorsi di vita separati, com'è giusto che sia tra gente civile, che si rade a zero, disciplinatamente, in estate. Io di figurine ne posso comprare poche. Perché i soldi a casa servono ad altro e quindi mi sono dovuto industriare, vincendole al gioco. A battone per la precisione. Il battone è una disciplina serissima, che prima o poi andrà in TV e anche alle olimpiadi. Io mi alleno tutto l'inverno, sul marmo del davanzale a scuola, durante la ricreazione. E per allenarmi non uso le figurine vere! Bastano i dorsi, che racimolo da tutti i miei compagni. Nella mia scuola sono bravissimo. Il migliore. Imbattibile. A Favara il più forte è invece quel maledetto di mio cugino Alberto. Ha imparato da me il disgraziato e ora mi frega sempre.

Nel tardo pomeriggio siamo sempre sugli scalini della chiesa. E come sempre Germana arriva nel suo prendisole, oggi rosso, con Billi al seguito. Mi saluta facendo spallucce e tira dritto per l'emporio. Dopo qualche minuto dalla tenda anti mosche, Germana e il suo prendisole rosso, Billi ed il solito carico di bustine in mano, riemergono sulla piazza. Alberto prende in braccio Billi e con il suo fare svogliato lo aiuta a scartare il lauto bottino. Germana invece inizia a parlami di Ferragosto e del fatto che i suoi vogliono andare a trovare la zia in un albergo a Lauria, perché quest'anno non c'è la processione. Non ha molta voglia di andare da una zia vecchia e decrepita, né di rischiare il vomito, sulle curve della strada che porta sulla montagna. Fossi capace di generare un minimo di vuoto e isolarla da quei pensieri tristi, giuro che lo farei, ma per quanto negli ultimi giorni sia dotato di reazioni e sensibilità nuove non so come provvedere.

Billi, come suo solito, inizia a frignare. Quell'idiota di Alberto mostra raggiante una figurina di Chimenti. E queste cose non si fanno con un bambino piccolo. Perché non c'è nulla, ma proprio nulla, di più introvabile e prezioso della figurina di Vito Chimenti. Un mio compagno di classe mi ha rivelato che ne mettono una ogni milione di pacchetti. Suo padre lo sa per certo, visto che ha l'edicola. Non ti puoi aspettare che uno dell'età di Billi non la sappia questa cosa, ma Alberto è così, dispettoso pure con quelli più piccoli di lui. Billi quella figurina la vuole, e per Alberto si tratta pure di un doppione. Potrebbe tutto definirsi in un attimo, utilizzando una briciola di generosità, ma la discussione si anima secondo lo schema abituale: Germana urla male parole, Billi frigna e si dimena, Alberto terribilmente intriso della sua antipatia, rimessa la figurina in tasca, prende a calci con studiata noncuranza le pietre del sagrato.

Io, per la seconda volta in pochi giorni, realizzo che i miei capelli non hanno un senso, se non mi affaccio a questo nuovo mondo assumendo delle responsabilità. La scena sembra diretta da un invisibile regista: inquadratura larga mentre avanzo e scanso la tribù di nani urlanti. Stringe via via sulla mia mano che delicatamente sposta Germana. Nuovamente allarga mentre prendo in braccio Billi e con una carezza gli asciugo i lacrimoni. Con mossa teatrale lo deposito tra le braccia della sorella, mentre dico «Alberto ce la possiamo giocare la figurina di Billi». Solo che i film sono scritti con logiche che mal riproducono la mia realtà: secondo la mia visione, il copione avrebbe dovuto prevedere lo sguardo languido della protagonista che sussurra «tu mio eroe». La realtà si manifesta invece con un'occhiataccia di disappunto e un deprimente «ma se non vinci mai con lui!» Incasso il colpo non senza arrossire, ma è davvero troppo tardi per tirarsi indietro.

Alberto si avvicina divertito e ghigna - «e di quanto giochiamo?» Faccio un rapido conteggio del mio piccolo bottino scolastico. Cerco il residuo nelle tasche e poi sparo, ieratico - «quaranta.»

Il silenzio cala sull'intero borgo. Billi, spegne in gola l'elenco di proteste e insulti. Anche il leggero soffio di vento preserale sembra attutirsi a sottolineare il momento. Quaranta! Quaranta è una cosa mai vista, una prova durissima. Ottanta... dico ottanta figurine. Ognuna ordinatamente impilata sull'altra. Tutte da fare capovolgere con sincronia perfetta. Ottanta quadratini di carta e colla, mossi dall'impatto esplosivo dell'aria torrida e umida spostata dalla mia mano, che s'infrange, violenta, sui gradini impolverati della chiesa di Favara. Dalla mia mano, di tredici anni! La stessa che adesso conta, inesorabile, una dopo l'altra, le quaranta figurine davanti a tutti quegli occhi. Gli occhi stizziti di Germana, speranzosi di Billi, cattivi di Alberto, divertiti delle variegate teste rasate. Distanti del Mago che spuntato fuori dalla tenda anti mosche dell'emporio, guarda da lontano la scena seduto sul gradino d'ingresso. Poi Alberto sovrappone prima quella di Chimenti e poi, scandendo tutti i singoli numeri ordinali, le sue altre trentanove. La campana della chiesa scandisce un tempo che le nostre enumerazioni dilata all'infinito. Le facce degli stessi calciatori sulle figurine, sembrano cambiare, invecchiare, mutare maglia, a mano a mano che i numeri scorrono e le figurine si affastellano l'una sull'altra su uno dei gradini della chiesa.

«Trentotto...trentanove...quaranta.»

Il mazzo ora è davanti a me. Enorme. La sua concretezza è paragonabile alla pesantezza del batacchio, che sta terminando la sua ultima percussione. Ora sono solo. Io, quella catasta e la mia fede incrollabile. Inizio a curvarne la forma. Ho bisogno di avere superficie, per assorbire l'impatto dell'aria. Pulisco bene lo scalino meno polveroso. E adagio il mazzo con delicatezza davanti alla faccia di Billi immerso nella sua speranza. Il suo occhio punta dritto al centro esatto, dove è seppellito l'oggetto del suo desiderio. Dietro, Germana ha una smorfia sconsolata. A sinistra Alberto, con il ghigno ironico. Intorno, in ordine sparso, tutti gli altri, con la faccia che si trovavano per l'occasione.

Nel battone, come in ogni sport serio, il riscaldamento è fondamentale. Nell'ordine: prima soffiare nel pugno chiuso, poi sfregare forte il palmo, già in posizione di battuta a cucchiaio, sulla tela ruvida del bermuda di jeans, quindi farlo scivolare avanti e indietro piano accanto al mazzo, fintando di tanto in tanto il colpo. In genere durante le finte il mazzo oscilla, leggermente. Non questa volta. Sembra un unico pezzo con il marmo. Solidale con l'intera fabbrica della chiesa. Dopo vari interminabili minuti sono alle finte finali. Io e il mazzo. Enorme. Alberto ghigna. Tutti gli altri trattengono il fiato. L'ultima finta... oscillazione impercettibile... è il momento. La mano si alza e si abbassa, compiendo un movimento rapido e violento. Spinge l'aria, confinandola di colpo nella piccola intercapedine tra palmo e gradino. Unica via di fuga la fessura laterale lasciata dal pollice sotto l'indice. L'aria, compressa, sfoga la sua energia alzando un'onda di polvere. S'infrange sulla curvatura del mazzo. Le singole molecole gassose urtano, disperatamente, il dorso della figurina alla base. Inizia inesorabilmente lenta la rotazione. Mezzo giro... il mazzo è praticamente verticale... e inizia la separazione... delle due parti. La prima completa la sua corsa, l'altra oscilla un microsecondo e poi torna, ignobilmente, indietro. Vito Chimenti, nella posa innaturale della foto, ci guarda dalla sua rarissima figurina. Sconfitto chiudo gli occhi. Dall'esterno mi arrivano suoni ovattati e immagini sfuocate. Solo Germana nitida e in silenzio mi osserva nel suo prendisole rosso. Poi un urlo mi risveglia. Billi ha capito che la vita è fatta di attimi e più che concentrarsi sulla mia faccia sconfitta o sul ghigno compiaciuto di Alberto ha messo in azione la manina. Ora corre disperato verso casa con la figurina in mano. Alberto invece è a terra con un taglio sul labbro. Se non lo avessi agganciato da dietro, sarebbe precipitato su Billi furente di bile.

Alberto ed io ce ne stiamo dando di santa ragione, nella polvere del sagrato. Qualcuno ci divide, ma non va molto meglio, perché mio padre non pensa che la figurina di Vito Chimenti sia tra le ragioni plausibili per picchiarsi tra cugini. Germana guarda la scena preoccupata, mentre Billi è quasi a casa, con il suo prezioso trofeo. Nonostante tutto adesso sono felice. Ho la faccia gonfia di botte, ma alla fine ho raggiunto il mio scopo, grazie alla destrezza di Billi. La campana della chiesa è muta, come il Mago, che ha guardato in disparte la scena. Il tempo è tornato alla sua cadenza naturale. La marea sta iniziando la salita e sommerge le pietre sulla costa. Io tra due giorni finisco la consegna a casa. E ti vengo a prendere per correre al mare. Con me e con Billi. Se vuoi.

La figurina di ChimentiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora